Tutte le forme di aggregazione sociali, politiche, sportive, hanno secondo me alla base un denominatore comune che conferisce loro una continua linfa vitale al di là di quello che esse rappresentano da un punto di vista ideologico, ricreativo, sportivo: un gruppo di persone che piu’ di altri sono spinti ad agire affinche’ tutti siano incentivati ad un continuo progresso, rappresentando contemporaneamente non solo astrattamente una denominazione, ma secondo me la più pura espressione degli ideali e dei principi insegnati e tramandati. In questi termini, può sembrare un discorso molto semplice, quasi banale; ma se partiamo dalla nostra realtà ecco come il problema del gruppo assume un'importanza vitale per la sopravvivenza, lo sviluppo e la diffusione del karatè nel pieno rispetto di regole e principi morali che esso ci insegna. Non voglio enfatizzare o fare assumere al gruppo un carattere elitario; ma credo che le persone che ne fanno parte, soprattutto perché spontaneamente convinti nel seguire un'idea, siano ad un livello diverso rispetto al semplice allievo che non si pone alcun tipo di domanda, senza per questo volere mancare di rispetto, ne tantomeno essere discriminante, differenza penso imputabile ad una diversa maturità acquisita attraverso gli anni di pratica. Essi cercano di percorrere, seguendo un unico filo, una strada la cui fine non si vede; a volte piena di difficoltà e di scelte difficili; ma sono le persone che più rappresentano l'applicazione degli ideali che il proprio Maestro esprime; rappresentano la continuità della Scuola con la maggior parte degli allievi e della gente che ha modo di osservarli. Il gruppo può rappresentare un esempio da imitare con una critica analisi delle motivazioni, può e deve rappresentare un qualcosa in cui entrare partecipando attivamente e da cui partire per un ulteriore miglioramento personale; ma non è da idealizzare acriticamente. I componenti di un gruppo hanno il compito molto importante, anche se inconscio, di servire come incentivo per i più giovani e i più inesperti, ma soprattutto devono essere un'unica entità il cui pensiero ed il cui agire é la risultante del vissuto personale, ma che comunque confluisce verso un unico scopo. Mentre scrivo mi viene in mente l'applicazione di un kata a squadre, in cui tre persone , per il miglior conseguimento dell'obbiettivo comune, sono disposti a sacrificare qualcosa di se stessi, in cui uno solo fa bella figura, senza per questo, perdere nulla della propria personalità e dignità. E' molto facile essere un gruppo e come tale riconoscere e rispettare una scala gerarchica durante gli allenamenti, il problema può nascere nel continuare a riconoscere tale scala al di fuori del momento tecnico. I rapporti personali all'interno di un gruppo a volte non sono facili, sia perché talvolta il valore tecnico non sempre è parallelo alle doti umane, sia perché nessuno vuole essere secondo a nessuno o comunque non vuole essere prevaricato. Ecco, secondo me il cuore del problema è proprio questo; l'aspetto intrinseco fondamentale della filosofia che regola il gruppo è che nulla e nessuno viene prima di ciò che il gruppo rappresenta. Ciononostante credo che tra i componenti di un gruppo ci debbano essere sentimenti di sincerita' e correttezza, sorretti da stima e rispetto reciproco, in cui si cerchi di superare eventuali dissapori e risentimenti , o quanto meno cercando di chiarirne le cause o gli effetti. Se da un lato può essere solo un problema di rapporti interpersonali, e che quindi ognuno è libero di gestire come meglio crede, dall'altro si può nascondere un'insidia che può rivelarsi molto pericolosa : viene messa in pericolo l' armonia e la coesione del gruppo stesso, e questo rappresenta un problema molto grave che può ripercuotersi sulla Scuola nella sua globalità, la dove il gruppo è presente. Non credo di essere masochista, ma penso di dividere con i miei compagni un'esperienza profonda e ricchissima, che non tutti hanno il piacere di vivere o di capire; il raggiungimento individuale di un obbiettivo interiore attraverso la sofferenza e la fatica. Ecco, penso che dovremmo riflettere su questo aspetto che ci accomuna e che, quando ha luogo, ci spoglia dall'egoismo, dalle difese e dalle resistenze psicologiche mettendoci di fronte ai nostri limiti di uomo stimolandoci continuamente a dare il meglio di noi stessi. Rappresentando una Scuola, i componenti del gruppo dovrebbero avere una comunione di interessi e di obbiettivi che forse vanno al di là, o che sono più forti dei legami di amicizia o presunti tali, anche se, i momenti dello stare assieme per il piacere ed il gusto di farlo sono un aspetto altrettanto importante, che rappresenta la complementarità tra lo stare in gruppo con o senza il karategi. Fare parte di un gruppo non vuole dire solo indossare i colori sociali, ma lavorare in una prospettiva più ampia che abbia sempre presente sia l'interesse e l'immagine della Scuola, e, di conseguenza il bene del karate nella sua applicazione più vasta. Ecco dunque come sia estremamente importante essere disponibili, e non rifiutare o fuggire da parole come solidarietà, aiuto, confronto, cercando di vedere l'uomo nella sua giusta dimensione di praticante di karate. Fare parte di un gruppo non vuole assolutamente dire annullare la propria personalità ed il proprio senso critico; significa essere consapevoli che in qualsiasi situazione, qualunque decisione viene presa in nome di tutto ciò che il gruppo rappresenta, rinunciando magari a piccoli piaceri personali senza anteporre il benché minimo tornaconto. Occorre imparare a dare senza pensare di ricevere qualche cosa in cambio, e quindi è necessario essere disponibili verso gli altri a tutti i livelli, ma nello stesso tempo essere saldi nel mantenere sempre a fuoco un comune ed unico obbiettivo: coltivare un campo comune e non un singolo pezzetto di terreno; perché se il campo dà un buon raccolto, tutti possono gioire dei suoi frutti; che tradotto in parole povere e crude vuol dire accettare la filosofia e le regole che il gruppo si da affinche’ esso non si trasformi in branco.