La scrittura giapponese si compone di due sistemi ben distinti di simboli per comporre le parole della lingua scritta. Il primo sistema, derivato dal cinese è quello dei caratteri ideografici, o ideogrammi o ancora meglio kanji. La parola kanji significa letteralmente carattere cinese. Un kanji quindi rappresenta una parola, o come indica il termine ideogramma, un'idea. Avremo l'ideogramma che significa fiume o quello che indica il monte. Fin qui la scrittura giapponese è come quella cinese, ma oltre alla scrittura ideografica, in Giappone ne esiste un'altra che chiameremo fonetica; per capire il perchè si siano sviluppati più alfabeti si devono spiegare alcuni dati storici e geografici.
Il Giappone in passato ha avuto pochi scambi culturali e commerciali con i paesi vicini, il motivo di tale chiusura è determinato da condizioni ambientali, il fatto di essere un arcipelago ha impedito la comunicazione via terra, mentre le correnti marine, che spingono da occidente verso oriente rendevano difficoltosa la navigazione verso la Cina, pertanto la cultura giapponese si è sviluppata senza le influenze di altre civiltà (se non sporadici eventi).
La lingua giapponese si sviluppò nella notte dei tempi senza alcuna espressione scritta. Le informazioni si trasmettevano solo oralmente. Quando c'era la necessità di comunicare ad altre persone un evento importante si ingaggiava un narratore professionista chiamato kataribe. Il kataribe viaggiava per tutto il paese portando messaggi e riferendo importanti avvenimenti avvenuti in altri villaggi. I discendenti di questi narratori iniziarono a riportare in kanji l'antica lingua giapponese yamatokotoba.
Nella storia della lingua giapponese, queste trascrizioni rappresentano le prime testimonianze scritte, e grazie ad esse sono stati tramandati fino ai giorni nostri importanti accadimenti e la conoscenza di quel remotissimo periodo.
I Kanji (ideogrammi) furono creati in Cina nel XIV secolo A.C. Successivamente si diffusero nella vicina penisola coreana. All’inizio del terzo secolo un uomo di nome Wani giunse in Giappone dall’antica regione di Kudara, che era situata al di là del Mar del Giappone nella parte più occidentale della penisola coreana. Wani portò con se alcuni libri tra cui il Senjimon, un testo cinese per lo studio dei kanji. Questo è il primo aneddoto che documenti l'introduzione dei kanji in Giappone. In ogni caso solo nel IV-V secolo, e cioè quando gli scambi commerciali tra Giappone e Corea raggiunsero il loro apice, i kanji furono realmente introdotti in Giappone: infatti quando gli ambasciatori giapponesi si recavano in Cina per lunghi periodi, avevano l'opportunità di studiare da vicino gli ideogrammi cinesi e la maggior parte di loro avevano anche il compito di tramandare ideogrammi dalla Cina al Giappone per rendere più ricco il vocabolario scritto della lingua giapponese. Due di questi ambasciatori, monaci buddhisti, oltre a studiare gli ideogrammi, pensarono di trovare un sistema per rendere più agevole l'utilizzo di quel tipo di scrittura al quale i giapponesi non erano abituati e che si rivelava un ostacolo alla diffusione dei kanji. Quindi presero, dopo lunghe ricerche, una serie di ideogrammi e semplificandoli e riadattandoli, crearono due sillabari. In particolare prima il monaco Kibidaiji creò il sillabario chiamato katakana, mentre due secoli dopo fu il monaco Kôbôdaishi a creare il sillabario detto hiragana. Il katakana in realtà era un sillabario creato da un altro sillabario, a sua volta creato dagli ideogrammi cinesi. Questo sillabario intermedio si chiama man'yogana, letteralmente sillabario delle 10.000 foglie.