L'idea del rendimento costante certo può sollevare dei forti dubbi nell'ambito dell'alta specializzazione, ma permette di introdurre la teoria dell'allenamento nell'attività sportiva a larga diffusione fornendo una linea di intervento che fino ad adesso è stata molto poco approfondita. In genere si cerca di adattare a contesti diversi i principi che guidano l'allenamento dell'atleta di alto livello.
La forzatura di presentare una espressione tecnica di alto livello all'atleta usando metodologie al top per inseguire prestazioni che in definitiva non si allontanano molto dalla norma, purtroppo si risolve nell'abuso di ciò che è collegabile, al risultato del miglioramento, e negli abusi non vanno solo inclusi alcuni tipi di allenamento che si trascinano dietro traumi e patologie, ma anche l'uso, guidato da conoscenze superficiali, di supporti alimentari (integratori, aminoacidi etc.) o di sostanze dopanti.
In seguito a queste osservazioni nel mondo degli allenatori sportivi si fa sempre più spazio una concettualizzazione della "maturità del gesto" riprendendo un tema sempre attuale nel karate tradizionale.
Il M°Kase al corso nazionale istruttori fece un esempio, non ricordando precisamente le parole lo riassumiamo come noi lo abbiamo capito: poniamo due praticanti che abbiano un buon kizamizuki, se uno allenerà quel colpo nella situazione strettamente inerente la gara, e possibilmente chiudendo il campo delle variabili, specializzandolo, probabilmente acquisirà una maestria veramente particolare; ma se l'altro allenerà lo stesso colpo in tutte le maniere possibili (e noi abbiamo capito nell'accezione più ampia "tutte le maniere possibili" dietro, davanti, di lato, piano, veloce etc. fino ad arrivare ad allenare il "non usarlo") dopo anni il primo si sarà fermato, mentre il secondo potrà presentare una tecnica "piena". L'esempio è chiaro per noi karateka, ma visto come teoria di allenamento solleva una quantità di dubbi proprio su alcuni di quei principi scientifici che abbiamo citato all'inizio, oggi, fortunatamente messi in discussione da molte aree della conoscenza.
Dal punto di vista psicologico è chiara la motivazione del primo atleta, ma sfugge quella del secondo. Stessa cosa per l'acquisizione degli automatismi: se sul primo si può fare una periodizzazione del lavoro, altrettanto si potrà dire sul secondo? Mentre il primo è abbastanza misurabile, come si fa a misurare la tecnica "piena"? D'altronde le problematiche irrisolte sulla prestazione sportiva, agonistica e non, sono molte e la situazione è molto aperta, si pensi al metro di giudizio degli arbitri che premiano una sicurezza maggiore espressa nella stessa piroetta fatta in maniera impeccabile da due pattinatori, o all'inspiegabile crollo di uno schermitore che ha condotto in vantaggio tutto l'incontro e sull'ultima stoccata cede; oppure al capocannoniere specialista nei rigori che sbaglia la massima punizione nella finalissima. Sono risultati difficilmente spiegabili in una metodologia di allenamento che veda l'uomo-macchina, se non incolpando a turno questo o quell'altro fattore esterno.
Nel libro da noi scelto gli autori considerano una serie di recentissimi studi e partono con il progetto di una trattazione della materia completamente nuovo. Come gli autori spiegano nelle prime pagine, la loro idea percorre una strada completamente diversa da quella delle teorie dell'allenamento attualmente in uso, sia per il suo orientamento teorico e sia per la sistematicità dei suoi contenuti.
Comunque l'invito del testo per tutti gli interessati è di avere la consapevolezza che la teoria dell'allenamento per il momento non può fornire delle regole e la scienza dell'allenamento per ora non può rispondere a quelle domande sempre nuove poste dalla prassi.
Questa premessa viene mantenuta sia nella forma del testo (che oltre ad un trattato di studio vuole essere un opera di consultazione, tipo manuale) sia nei postulati che nel primo capitolo guidano l'illustrazione delle definizioni che poi verranno usate.
La definizione data dagli autori per l'allenamento sportivo è centrata su un processo complesso postulando che l'allenamento influisce sempre sullo sviluppo della intera personalità. Inoltre essi sostengono che quando si pianifica e si realizza l'allenamento sportivo occorre sempre far attenzione che gli effetti positivi dello stesso non siano collegati con gli effetti negativi che danneggiano lo sviluppo della personalità o che ci siano delle modificazioni delle quali non sono consapevoli gli atleti e le atlete.